Effetto placebo: questo sconosciuto!

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Spesso si sente parlare, soprattutto a proposito delle Medicine Alternative, di effetto placebo. Ma in effetti, quanti di noi sanno esattamente cosa sia l’effetto placebo? In cosa consiste esattamente? La comunità scientifica è compatta nel definirlo e riconoscerlo o anche questo aspetto ha delle sfumature da conoscere? Questo articolo serve esattamente a parlare e dibattere di alcuni punti a proposito di questo famoso ma sconosciuto effetto placebo. Spero di riuscire ad esprimere in modo semplice un argomento complesso come questo! ?

Cosa è il placebo? L’Omeopatia è tutto effetto placebo? Attualmente la comunità scientifica sembra condividere le risposte date da Ernst [Ernst 2006], uno dei maggiori esperti a livello bibliografico: l’omeopatia avrebbe successo, nonostante la sua inefficacia perchè i pazienti sono soggetti nella pratica clinica a risultati positivi nella terapia dovuti ad effetto placebo. Chi sostiene questa tesi considera la pratica omeopatica come anti-etica perchè non onesta verso i pazienti [Shang et al 2005].

Un documento stilato da vari premi nobel nel 2002 in Italia definisce le Medicine non convenzionali “ pratiche … che hanno un approccio ideologico alle malattie, si basano su presupposti arbitrari, non tengono in considerazione i meccanismi biologici e le conoscenze scientifiche più moderne, non offrono una spiegazione razionale alla presunta efficacia delle cure e fanno riferimento a meccanismi del tutto indimostrabili” [fonte Cicap – Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale – 18/06/2002].

Ma l’omeopatia è davvero tutto effetto placebo?

Le argomentazioni a favore di questa tesi derivano principalmente dai lavori di due studiosi, Ernest [Ernst 2006] e Shang [Shang et al 2005]. Anche se l’argomento è complesso, credo sia bene analizzare qualche punto.

Ad esempio, per cominciare: cosa è in effetti questo famoso e nominatissimo placebo? Anche se in parole semplici, è necessario chiarirne alcuni aspetti vista la confusione metodologica e concettuale che regna anche in campo medico [Hrobjartssonn 2002].



La definizione riportata da due studiosi dell’argomento, Hrobjartsson e Gotzsche (li chiamerò H&G vista la difficoltà anche solo nel provare a nominarli! ? ), è la seguente: “è difficile definire in modo soddisfacente il placebo. Negli studi clinici, i placebo sono in generale trattamenti di controllo con un aspetto simile al trattamento utilizzato, ma senza attività specifica. Definiamo quindi pragmaticamente il placebo come un intervento medico così definito nel report di uno studio clinico” [Hrobjartsson e Gotzsche 2001]. Detto in parole povere: il placebo è qualsiasi intervento medico non specificatamente indirizzato ad una patologia che si decide di chiamare placebo. Di solito chi si riferisce ad un “placebo” intende una compressa o tavoletta di solo lattosio, non contenente perciò nessun principio attivo, ma in effetti questa è una semplificazione molto lontana dalla realtà clinica. Nella pratica clinica gli interventi non specifici, i veri placebo, sono spesso difficilmente identificabili [Gotzsche 1994], ben lontani dall’essere la sola e semplice “pastichetta senza nulla”. H&G, esperti epidemiologi (anche se con nomi improbabili ? ) così come altri studiosi suggeriscono di abbandonare totalmente il termine placebo, considerato fuorviante[Hrobjartssonn 2002; Gotzsche 1995].

L’opinione del placebo, che negli anni 40 era considerato uno “strumento “moralmente” utile ma innocuo, senza effetti curativi sintomatici” [Kaptchuk 1998], cambia radicalmente del 1955 quando viene pubblicato sulla rivista dell’Associazione Medica Americana l’articolo ‘Il placebo potente [Beecher 1955] nel quale l’autore, a seguito di una rassegna di 15 studi clinici, per un numero totale di 1082 pazienti, riporta che il 35,2% aveva avuto benefici, non solo psicologici, ma anche fisici, icludenti cambiamenti oggettivi degli organi bersaglio, da terapie a-specifiche. Da questo studio si deduceva quindi che circa un terzo dei risultati positivi all’interno di un trail era dovuto principalmente al placebo, i cui effetti “possono sopravanzare gli effetti dovuti ad una potente azione farmacologica” [Beecher 1955].

Ma quindi, i risultati in omeopatia sono dovuti a questo potente effetto placebo?

“Placebo – massima forza. Efficace come i migliori trattementi omeopatici” .. ma sarà vero?

In effetti, anche accetando quest’ottica di ‘placebo potente’ non è possibile spiegare i risultati ottenuti dall’omeopatia: oltre a i risultati pubblicati su riviste omeopatiche e di medicine complementari [Van Wassenhoven e Ives 2004; Spence et al. 2005], che riportano un miglioramento o una guarigione nell’80% dei pazienti, bisogna tenere in considerazione articoli pubblicati su notori giornali medici, che riportano risultati superiori al placebo, come ad esempio 3 meta-analisi pubblicate rispettivamente nel 1991 sul British Medical Journal [Kleijnen 1991], nel 1997 su the Lancet [Linde et al. 1997] e nel 2000 su European Journal of Clinical Pharmacology [Cucherat et al. 2000]. Linde ad esempio trova un effetto della terapia omeopatica in media 2,45 volte maggiore del placebo.

 

Placebo potente quindi.. o placebo impotente?? I risultati di Beecher riguardo alla potenza dell’effetto placebo [Beecher 1955] sono stati più recentemente messi in discussione da alcuni epidemiologi [McDonald et al. 1983; Kienle e Kiene 2001] che analizzando i dati raccolti hanno messo in luce come vi fossero, all’interno del lavoro del 1955, diversi errori di carattere metodologico: Kienle [2001] ha messo in luce come la quasi totalità degli effetti positivi verificati ed attribuiti al placebo erano in realtà dovuti ad altri fattori in grado di migliorare la situazione dei pazienti (dati errati, storia naturale della malattia, regressione verso la media, trattamenti concomitanti, ecc.).

Sulla linea di questi lavori, H&G, epidemiologi del Centro Cochrane del nord Europa, hanno impostato uno studio che avesse come obiettivo dei riflettori proprio il placebo, messo a confronto questa volta non con un trattamento specifico (come negli RTC), ma con un gruppo che non veniva affatto trattato (no intervention versus placebo). La meta-analisi pubblicata sull’English Journal of Medicine nel 2001 [Hrobjartsson e Gotzche 2001], prende in considerazione 114 trials effettuati in diverse patologie. Le conclusioni affermano: Abbiamo trovato una scarsa evidenza generale che il placebo abbia potenti effetti a livello clinico. L’unico effetto positivo riscontrato riguarda una riduzione del 6,5% del dolore senza nessun cambiamento delle altre situazioni patologiche. Un risultato ben diverso quindi da quello indicato in precedenza!

Un’altro lavoro di H&G [Hrobjartsson e Gotzche 2004], pubblicato sul Journal of Internal Medicine, che ha analizzato altri 52 nuovi studi scientifici, precisa inoltre che l’effetto evidenziato sul dolore “non può essere chiarmente distinto dall’effetto di fattori confondenti”. I loro studi quindi, proprio per sottolineare la distanza dei risultati con quanto sperimentato da Beecher [1955], sono titolati ironicamente ‘Is the placebo powerless?’ (Il placebo è impotente?).

Avere dubbi su quelle considerate verità assolute della scienza può essere molto salutare! ?

Insomma, forse la situazione che si vuole far apparire chiara, tanto chiara non è. Questo placebo ha effetti o non ne ha? Anche se la tipica pillola di solo lattosio, considerata inerte e usata negli studi scientifici come “placebo”, non ha nessun tipo di azione quando valutato verso malattie naturali, questo non vuol dire che alcuni fattori esterni, a-specifici, indipendenti dal farmaco, non possano influenzare nella pratica clinica i risultati nel corso di una terapia: ad esempio l’azione di supporto dello staff, la fiducia nel medico che spinge ad adottare stili di vita più salutari possono migliorare i risultati di una terapia, quale che essa sia e in effetti vanno considerati come “effetto placebo”. Questi fattori anche se non sono facilmente misurabili, giocano un ruolo importantissimo nella pratica clinica e nella guarigione del paziente, senza dubbio, sia in omeopatia che in allopatia!

 

Ad ogni modo, se questi risultati di H&G [Hrobjartsson e Gotzche 2001; Hrobjartsson e Gotzche 2004] si verificassero corretti, non solo non sarebbe possibile attribuire i risultati dell’omeopatia, o di altre terapie non convenzionali, neanche parzialmente al placebo (poichè questo è in effetti molto meno potente di come definito nell’unico studio del ’55), ma bisognerebbe anche prendere in considerazione, viste oltretutto le difficoltà di definizione che abbiamo discusso, la possibilità di dover abbandonare il termine placebo stesso: “In generale, la confusione concettuale e medotologica nel campo del placebo è talmente grande che i riferimenti all’effetto placebo sono incomprensibili senza un’ulteriore chiarificazione. Può essere venuto il tempo di smettere di usare il termine effetto placebo ed al suo posto definire a quale intervento ci si riferisce, e come questo effetto è stato misurato” [Hrobjartsson 2002].

“I nostri studi dimostrano che il nuovo farmaco non ha effetti migliori del placebo” – “Forse dovremmo investire in placebo!” .. ?

 

Nota: la bibliografia riportata è disponibile per la consultazione qui.