La Ricerca in Omeopatia: qualche chiarimento iniziale

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Quando si parla di omeopatia, immediatamente salta fuori la persona (o il collega, veterinario, o medico ancor meglio) che sa tutto di tutto e dice che l’omeopatia è tutto effetto placebo e che non ci sono studi scientifici a favore dell’omeopatia. Ma è davvero così? Dato che la percentuale di persone che si curano con l’omeopatia è in continua crescita, il punto scottante della ricerca in omeopatia ha davvero bisogno di qualche chiarimento iniziale!



In effetti, attualmente la situazione dell’omeopatia sembrerebbe paradossale: da una parte è indubbio l’aumento di interesse da parte dei pazienti (al proposito ricordiamo che, secondo dati Istat la quota di persone che ha fatto ricorso all’omeopatia è stata quella che ha subito un maggior incremento negli anni dal 1991 al 1999, passando dal 2,5% all’8,3% [ISTAT 2003]), in Italia come in Europa [Menniti-Ippolito et al. 2002: 61-4; Ernst 2006]. Nel 2010 in Gran Bretagna, proprio a seguito della constatazione che un gran numero di inglesi fa già effettivamente uso di rimedi, l’omeopatia viene riconfermata come facente parte del Sistema Sanitario Nazionale (NHS) [Uk Governamnt Response 2010].

Allo stesso tempo però si moltiplicano studi scientifici che affermano che l’omeopatia non ha alcuna efficacia e che non è possibile ricercarne delle fondamenta scientifiche [Ernst 2002; Shang et al 2005]: come si sente dire, anche da personaggi di indubbia validità e merito, omeopatia come “acqua fresca”.

Come è possibile spiegare questo fenomeno, apparentemente contraddittorio? Carlo Alberto di Savoia (1798-1849), nel 1839 a fronte delle pressioni anti-omeopatia dei cattedratici dell’Università di Torino del tempo, rispose: “Se assurda sarà l’Omeopatia, cadrà da se stessa, come fecero tanti altri sistemi.” Eppure, passati più di 200 anni dalla sua nascita, questo non solo non è avvenuto, ma anzi dimostra un andamento totalmente all’opposto.

Come è possibile quindi che l’omeopatia sia al tempo stesso così utilizzata e al tempo stesso riceva così poche conferme scientifiche?

Attualmente la comunità scientifica sembra condividere le risposte date da Ernst [Ernst 2006], uno dei maggiori esperti a livello bibliografico: l’omeopatia avrebbe successo, nonostante la sua inefficacia perché i pazienti sono soggetti nella pratica clinica a risultati positivi nella terapia dovuti ad effetto placebo.

Anche se, come abbiamo visto, il problema della definizione dell’effetto placebo è ben più complesso di quel che molti operatori e ricercatori pensano, torniamo alla domanda principale: come mai circa il 70% dei trials pubblicate su riviste biomediche hanno risultati negativi [Caulfield e DeBow 2005] a fronte di una continua espansione del fenomeno omeopatia?

Quello su cui vorrei che si si soffermasse è questo: quando apre un nuovo ristorante in un paese, qualcuno andrà a provarlo al principio. Dunque, se è buono, molto semplicemente passeranno parola e altre persone andranno a provare. Se è cattivo, andrò una o due volte, ma dopo qualche fregatura io non andrò più e farò girare la voce di non andare. Ecco: il “ristorante” omeopatia ha aperto da 200 anni, possibile che tante persone dicano che “lì si mangia bene” se non fosse così? Ci sta qualcosa di strano!

Partiamo dal principio: come si progetta uno studio scientifico?

Anche se da fuori può non essere chiaro, non tutti gli studi scientifici sono uguali. A seconda di quello che si vuole ricercare si dovranno impostare le nostre analisi in modo diverso. Ad esempio, riguardo la stessa terapia possiamo essere curiosi di conoscere 1. se è tossica 2. se ha effetti collaterali e quali 3. quanto costa al cliente 4. SE funziona per una determinata patologia in condizioni di laboratorio (famigerati e odiati test su animali, chiamati in vivo, oppure in vitro, cioè su culture cellualari) o ancora 5. la storia di quel trattamento 6. SE funziona in condizioni cliniche normali 7. Secondo quali meccanismi molecolari agisce etc. Per ognuno di questi esempi, a grandi linee, esiste un così detto modello di studio considerato ideale. Ovviamente, è bene ripeterlo, non esisterà MAI nessuna certezza scientifica, ma solo quelle che vengono chiamate evidenze scientifiche, cioè studi che statisticamente riportano risultati pro o contro una determinata teoria. Poi tutto viene messo sulla bilancia dagli esperti mondiali e viene scelta una linea guida, che poi normalmente (e giustamente) viene costantemente aggiornata a seconda delle nuove “evidenze”.

Prima di affrontare un qualsiasi studio scientifico è quindi molto importante definire quale sia il modello di studio più indicato per rispondere ai quesiti che ci siamo posti. Facendo una metafora: apro l’armadio e decido quale maglione indossare, con quale sciarpa abbinarlo e con quali pantaloni. Nel caso della ricerca scientifica questa scelta è in genere dettata dall’esperienza del capo ricercatore che si occupa dello studio, basandosi ovviamente sulla letteratura mondiale. Per i clinici (medici o veterinari che siano), sembra quasi che l’unico “modello sempre alla moda” siano i famosi Studi Randomizzati in cieco (RCT in inglese). Questo è un argomento complesso, ma anche qui, solo per far capire, è come se decidessimo di andare sempre a giro con lo stesso maglione e sciarpa tutto l’anno: sarà anche un bel modello, ma potrebbe non essere adatto a tutte le occasioni!

Una volta scelto il modello di studio, dobbiamo verificarne la sua validità. Come dire: una volta che abbiamo scelto quale vestito metterci, prima di uscire di casa dobbiamo valutarne la sua validità rispetto alle circostanze odierne: non andrò di certo vestita con maglione e sciarpa se fuori fanno 40 gradi. In questo caso possiamo dire che anche se ho scelto e abbinato bene i colori del mio maglione e della mia sciarpa, questi risultano NON adeguati rispetto al contesto.

Riportando questo discorso alla ricerca scientifica, quali possono essere i requisiti necessari perchè, in linea generale, sia possibile stabilire l’adeguatezza di uno studio scientifico alle “circostanze esterne” ossia all’omeopatia in questo caso, ossia per stabilire la sua validità di modello? Vi assicuro che non sono risposte difficili da prevedere! ? Anzi, sono molto molto basiche!

Perché uno studio sia affidabile, vale a dire, per avere qualche speranza che il nostro studio rispecchi la realtà oggettiva, i criteri da rispettare per l’omeopatia devono essere secondo A.Valeri [2007]:



  1. La progettazione dello studio deve comprendere esperti in medicina non convenzionale;

  2. La terapia omeopatica deve essere condotta da medici omeopati clinici con adeguata formazione;

  3. La terapia omeopatica deve essere individualizzata: pazienti anche con patologie uguali da un punto di vista della medicina allopatica potrebbero dover ricevere due rimedi completamente differenti;

  4. Ogni paziente riceve un singolo medicinale omeopatico per volta, prescritto secondo la legge dei simili;

  5. I medicinali omeopatici utilizzati devono essere stati preventivamente sperimentati in un così detto proving (ossia una sperimentazione omeopatica).


In pratica cosa vuol dire questo?

I punti 1 e 2 sono molto semplici. A chi verrebbe in mente di giudicare valido uno studio riguardo ad esempio una tecnica chirurgica altamente specialistica… senza avere neanche un chirurgo nel gruppo che progetta lo studio (punto 1)?? E se poi quella tecnica venisse adoperata durante lo studio da un medico generico, senza nessuna preparazione specifica in materia, come si potrebbe giudicare se questo nuovo approccio chiurugico dà buoni risultati o meno (punto 2)? Ecco, un’alta percentuale di studi “sull’omeopatia” sono stati progettati senza che nessun esperto di medicine non convenzionali entrasse a far parte del progetto e durante lo svolgimento nessun medico omeopata ha portato avanti la fase clinica. Ovviamente i risultati ottenuti da tali studi non possono essere giudicati attendibili, in quanto hanno delle palesi invalidità di modello. I risultati non sono né veri né falsi, sono semplicemente inattendibili!

Riguardo gli altri punti, parliamo di argomenti strettamente correlati con la medicina omeopatica in sè. L’omeopatia è una medicina basata sullo studio dei sintomi particolari di ogni paziente. In quanto tale due pazienti che bussano alla porta di un omeopata con la stessa diagnosi ad esempio di diabete, potrebbero (probabilmente) ricevere due medicinali diversi (punto 3). Dare a tutti i pazienti lo stesso farmaco, NON può essere definita omeopatia. I punti 4 e 5 anche sono parte della terapia omeopatica, che prevede sempre la somministrazione di un solo farmaco alla volta, cercando di sovrapporre il più possibile la sintomatologia del paziente a quella raccolta dalla sperimentazione della stessa sostanza su individui sani (proving). Diamo un attimo per buoni questi ultimi due punti, più che altro per sottolineare semplicemente che il modello non può essere valido se non si seguono le “regole” (la metodologia) dell’omeopatia classica.

Ecco, è tanto complicato? A me sembra non poi così tanto, e non dovrebbe esserlo soprattutto per ricercatori abituati a ragionare in base a criteri scientifici. Ma in effetti questi semplici punti, sono troppo spesso ignorati dai ricercatori biomedici. Ad esempio in uno dei maggiori studi sui quali si basano i detrattori dell’omeopatia [Shang et al. 2005], si analizzano altri studi in cui i ricercatori hanno utilizzato  sì dei medicinali prodottiomeopaticamente, ma che non sono mai stati sottoposti a proving e che non vengono prescritti individualmente e che in quanto tali non possono rientrare nella definizione di terapia omeopatica.

Cioè? Diamo una serie di granellini di zucchero, più o meno a casaccio, senza neanche avere un omeopata all’interno del nostro studio, magari mischiando diversi rimedi… e poi quando non funziona “diamo la colpa” all’omeopatia? Ma non era omeopatia quella! ? Cosa vado “sperimentando l’omeopatia” se poi durante lo studio faccio qualcosa che NON è vera omeopatia, ma solo una pessima imitazione? ?

Detto questo, esistono ovviamente studi in cui sono stati rispettati i criteri per la validità di modello che abbiamo esposto sopra e immagino nessuno si meraviglierà se dico che sono quelli che in genere danno risultati positivi: è abbastanza scontato no? ?

 

Nota: per chi fosse interessato ad approfondire può scaricare qui del materiale in più su l’omeopatia in generale e sulla ricerca in omeopatia, mentre qui è scaricabile la bibliografia degli studi citati.